Silvia Zancanella intervista Piero Zuccaro.

S.Z. Come è nata l’idea per questa mostra?

P.Z. A maggio del 2013 Marco è venuto in Sicilia a Catania e ha potuto vedere nel mio studio dei lavori che avevo iniziato su un nuovo soggetto. Gli ho mostrato degli appunti a pastello e anche un quadro di grande dimensione ancora in lavorazione. Passeggiando per il centro storico gli ho esposto il mio interesse per il componimento musicale del maestro Franco Battiato “Messa Arcaica” e la relazione che trovo, per associazioni emozionali, con l’atmosfera dell’interno della Cattedrale e del lampadario della grande navata. Credo sia stato un bel momento potergli mostrare il lampadario e il luogo da dove è partita l’emozione per questo nuovo ciclo. Si è parlato dell’atmosfera particolare del luogo  in cui ci trovavamo, immersi nella luce soffusa del pomeriggio filtrata dalle vetrate; ci si  è soffermati sulle linee dell’architettura e del gioco di luci e ombre che si veniva a creare. Dopo quel momento Marco mi disse tutto questo può diventare un bel progetto, e così è nata l’idea per questa esposizione.

S.Z: Il contrasto suggestivo che viene a crearsi tra la maestosità dell’oggetto lampadario e invece il suo ruolo delicato di dispensatore di luce e di ombra non era un tema facile da ricreare nei quadri. Come sei riuscito pittoricamente a fondere insieme concretezza ed evanescenza, corposità e ariosità?

P.Z. I lampadari, soprattutto quelli antichi, sospesi al centro delle basiliche sono in realtà delle piccole architetture che strutturano lo spazio aereo delle navate. Il loro compito è molteplice, funzionale e spirituale. Osservando l’oggetto lampadario mi sono accorto dipingendolo della stretta relazione della sua forma con le strutture architettoniche che lo circondano, come archi, lesene, colonne ecc.

Il lampadario è un fulcro, sia come dispensatore di luce che come accentratore dello sguardo, è una splendida macchina pensata e realizzata per attirare lo sguardo e far alzare gli occhi; infatti studiando le traiettorie istintive del mio guardare, scopro che sopra le nostre teste vi è un mondo sensibile che sta lì e attende di essere visto.

È interessante come la macchina Cattedrale sia stata pensata da artisti architetti, pittori, scultori per far compiere un viaggio, e il viaggio comincia proprio facendoci alzare lo sguardo.

Nel mio procedere ho voluto ricreare pittoricamente quello che la sensazione mi suggeriva, cioè la rappresentazione di questo fulcro. Questo nucleo crea spazio, intercetta piani sensibili e suggerisce direzioni. Il percorso dello sguardo incontra elementi trasparenti ed elementi che vi si oppongono. La mia pittura ha già in se la componente aerea e materica, corpo e trasparenza. Ho sempre dipinto con la presenza di questa dualità  anche in altri  cicli come le “orme d’acqua” o le “sospensioni” dove il soggetto trasparente come è appunto l’acqua  è stato dipinto con la densità della materia. Ho desiderato che la materia si desse anche come elemento trasparente come può essere un pezzo di vetro grezzo.

S:Z.  Se fino a oggi nei tuoi lavori hai sempre raccontato una materia aerea e corposa, densa e trasparente, mi pare che qui la scelta dell’oggetto, il lampadario, del contesto architettonico che lo ospita, la cattedrale, indichino quasi il desiderio di esplorare uno spazio segnato in qualche modo dalla presenza del “sacro”, dove «alzare lo sguardo» significa non solo vivere un’esperienza visiva ma anche avere la possibilità di trascenderla. Si può parlare, in questo senso, di un aspetto spirituale della tua pittura?

P.Z. La pittura, quando è tale, per me contiene già l’elemento spirituale. Nella produzione degli ultimi tempi assistiamo ad un’arida concezione della pittura con una sopraproduzione di immagini spesso prive di senso. Oggi, quando visito un  museo importante e mi trovo davanti a dei capolavori del passato o del contemporaneo,  mi accorgo quali opere hanno un certo contenuto spirituale e quali no. Non so cosa sia cambiato in me, ma adesso il mio occhio riconosce questo aspetto più chiaramente di prima. Io, dai miei lavori, desidero che mi  rivelino qualcosa, e questo a volte accade. E’ un dialogo muto, lento, appena accennato, fatto di linee, vibrazioni e passaggi tonali, troppo sfuggente per essere fermato, ma chiaramente presente. La scelta del lampadario come soggetto per i nuovi lavori è accaduto per caso; ricordo che quando osservavo il lampadario in Cattedrale era a luci spente ed è stato illuminato da un raggio di luce naturale che lo ha fatto brillare nell’oscurità della navata. Credo che il soggetto in se sia irrilevante, però c’è una maggiore presa di coscienza su certi argomenti e qualunque soggetto se dipinto con verità  può innalzarci. Penso ai quadri di Giorgio Morandi e alla loro apparente fragilità ma spiritualmente immensi.

S.Z. Hai nominato Morandi. La sua pittura in effetti realizza una poetica dello spazio puro, in cui le cose appaiono sempre più spogliate, si direbbe, di tutto ciò che non è essenziale. Questo muoversi verso l’essenzialità la riconosci come una componente della tua ricerca attuale?

P.Z. Tendere verso una pittura sintetica che vada dritto all’essenziale è sicuramente un obiettivo che ho sempre cercato di raggiungere. Bisogna fare i conti però con la propria natura, che ti spinge a fare un certo tipo di percorso. Se intuisci la meta, sei costretto a volte a percorrere  vie sconosciute, anche dolorose. Parlare di essenzialità in pittura non è certo facile. La mia è una pittura che può dare l’idea di essere complessa negli elementi che la compongono ma  in realtà è strutturata da pochi passaggi essenziali, e cerco di raggiungere un equilibrio di stabilità tra tutte le parti che formano il dipinto. Amo la pittura che pur con tortuosi percorsi raggiunge leggerezza e sintesi visiva. A questo punto del mio percorso vi è il desiderio di dipingere lo spazio vuoto  con il lampadario sospeso; in realtà è lo spazio che lo accoglie ad essere l’oggetto segreto dell’indagine. Nella mistica  orientale troviamo l’espressione “fare l’esperienza del bianco”, per me dipingere la forza plastica dello spazio vuoto equivale  forse a vivere un esperienza spirituale simile. La pittura di Cézanne rimane un centro a cui guardare, per acquisire un metodo di lavoro che  raffredda gli eccessi dell’impeto e dell’entusiasmo e ti riporta coi piedi per terra.  Limare , limare fino a pulire il tutto dall’eccesso, è questa la regola di un altro grande artista come Braque che affermava,  “amo la regola che corregge l’emozione”.  Gli artisti che ho studiato da Nicolas De Stael al primo Mondrian, da Morlotti fino a Morandi partono tutti dallo studio di Cézanne e hanno cercato l’essenzialità nelle loro opere. Morandi lo ritengo un maestro “contemporaneo” straordinario perché coniuga essenzialità e rigore spaziale senza perdere il dato poetico. Nelle sue opere lo spazio, così fragile in apparenza, rappresenta a mio parere la spazialità del cosmo e dello spirito.

S.Z. La leggerezza della luce e l’accoglienza dello spazio sono dunque componenti essenziali di questi tuoi lavori, nei quali il lampadario è colto nel suo continuo relazionarsi con l’oscurità e con la luce all’interno della cattedrale di Catania. In questo senso, l’idea di una spazialità che trascende l’oggetto nel momento stesso in cui lo accoglie e che dunque diviene in un certo senso protagonista del quadro è, mi pare, ancor più sottolineata dal legame molto particolare con la musica, nello specifico con la Messa Arcaica di Franco Battiato. Come è nata questa collaborazione?

P.Z. La mattina, quando entro in studio, prima ancora di prendere il pennello metto un cd di musica; di solito ascolto musica che già conosco per evitare che un nuovo motivo possa distrarmi, è un comportamento ripetitivo e monotono ma che mi crea concentrazione.

Un giorno mentre osservavo il materiale fotografico che avevo realizzato in Cattedrale, ascoltavo come sempre un cd e in quel caso era la messa arcaica del maestro Franco Battiato; mi accorsi che le immagini fotografiche si sposavano con i suoni, suggerendomi sensazioni di forme e strutture cromatiche nuove per la mia abituale tavolozza. Insomma, mi accorsi che quella musica in quel particolare momento mi sussurrava qualcosa. Durante le mattinate seguenti mentre dipingevo il nuovo soggetto, ho iniziato ad ascoltare con assiduità le note della Messa Arcaica, proprio per mantenere quel rapporto emozionale iniziale.

Da queste premesse è nata l’idea di creare un progetto dove le note della Messa Arcaica potessero relazionarsi con la pittura, proprio come avviene nel mio studio nel momento in cui il dato pittorico prende forma. Ho la fortuna di essere amico di Franco Battiato, e ho la possibilità insieme a Giuseppe Puglisi di poter lavorare quasi accanto al suo ambiente di lavoro in un bellissimo studio in legno e vetri immerso nel  parco di casa sua a Milo. Questa vicinanza, mi ha permesso nel tempo, di dialogare con lui soprattutto di argomenti spirituali e conoscere alcuni autori della mistica che per me hanno un importanza particolare, come Teresa D’Avila, San Giovanni della Croce o di Tulku Urgyen Rinpoche. Nel caso di questa mostra non parlerei di collaborazione nel senso stretto del termine tra me e Battiato quanto della sua gentilezza e generosità nel concedermi vari suoi interventi per questo progetto; è più esatto parlare invece del mio rapportarmi da pittore al suo componimento musicale.

Ho pensato, discutendone con Marco, di ricreare per la mostra la sensazione emozionale che vivo all’interno dello studio, cercando così di  immergere il pubblico in un atmosfera  di senso tra pittura –  musica –  parola, nel modo più semplice possibile. All’interno del percorso dei bellissimi spazi di palazzo Chericati ci saranno anche due video, uno con l’immagine di Battiato che legge una frase del monaco buddista pittore del 1700 Shitao, e un’ altro con  me che leggo una frase di San Giovanni della Croce.

S.Z. L’aspetto di questo progetto che mi pare più affascinante, in un periodo dominato dal rumore, dal vociare continuo, da immagini e suoni aggressivi e invadenti, è dare vita a uno spazio raccolto, protetto, all’interno del quale musica, pittura e parola possano esprimere con delicatezza e lievità questa componente spirituale, mistica che è alla base dei tuoi lavori, ma anche della composizione di Franco Battiato. Quando prima parlavo di uno spazio segnato dal “sacro”, intendevo proprio questo, ossia la possibilità, da parte del visitatore della mostra, di percepire subito di trovarsi immerso in un’atmosfera di meditazione, di preghiera, che in fondo, è qualcosa di molto vicino alla creazione artistica.

P.Z. Il termine giusto per indicare  una delle direzioni possibili di questo progetto è “contemplazione”. Il mio desiderio è che lo spettatore, percorrendo le sale espositive, possa immergersi nei suoni lenti e dilatati della messa arcaica e disporsi in  atteggiamento  recettivo senza chiedersi nulla, libero di farsi guidare dagli elementi presenti. Quest’ atto contemplativo può far scaturire altri momenti importanti, come il desiderio di compiere la stessa esperienza anche fuori dagli spazi della mostra. Quando con atteggiamento completamente rilassato guardo un’opera immensa come  è “l’annunciata” di Antonello da Messina, compio un viaggio verso un territorio ignoto. Questo tipo di opere ci trasportano in una dimensione altra , fatta assolutamente di armonie. Guttuso in una intervista diceva che, se il nostro sguardo avesse la pazienza di seguire lo svolgersi della linea di un filo di  lana,  ci accorgeremmo di quanti elementi come curve, ombre e luci, colori e piani spaziali intervengono su di esso; scopriremmo che è presente davanti a noi in quel semplice oggetto le leggi che regolano l’armonia del creato. Il percorso è quindi dell’occhio e dell’attenzione. In arte si usa dire che noi guardiamo la realtà, ma in effetti non la vediamo. Infatti l’atto del guardare almeno nell’atteggiamento ordinario è vedere veloce, in superficie. Completamente diverso invece è l’atto del vedere vero e proprio che richiede attenzione. L’atto creativo credo sia formato da un vedere a più livelli come quello dell’attenzione unito all’occhio dell’intuizione.

S.Z. Dal punto di vista pittorico, come si traduce nei tuoi lavori la ricerca dell’armonia?

P.Z. Per me innanzi tutto l’armonia consiste nell’organizzazione spaziale dell’opera. Con l’esperienza ho capito che la disposizione segnica degli elementi che compongono il quadro formano l’opera.

Porto sempre con me l’insegnamento importantissimo del mio professore di disegno dal vero che mi suggeriva di non farmi sedurre eccessivamente dal colore ma di prestare invece attenzione alla linea del disegno, a come questa si snoda sulla superficie e che cosa incontra lungo il suo percorso. Mi diceva prendendo ad esempio l’opera di Giorgio Morandi “vedi, quando il disegno raggiunge questa forza, puoi mettere solo due gocce di colore sopra ed è già grande pittura”. Quattro linee appena accennate quelle dei disegni di Morandi, ma che reggono un’ universo poetico incredibile.

Disegnando sulla tela con la fusaggine, mi lascio sedurre dallo scorrere del carboncino, assecondando gli incontri che la punta trova tra le varie linee più o meno importanti. Dai grovigli prendono forma altre forme, fondendosi l’una con l’altra, alla ricerca di una terza forma, credo quella celata dietro ad ogni cosa. E’ importante farsi guidare in questo procedere dall’istinto, per capire cosa tralasciare e cosa invece rafforzare, senza mai perdere di vista l’organizzazione dell’insieme, in un continuo orchestrare.

A volte bastano pochi segni per sorreggere il tutto, anche quando parliamo di dipinti di grandi dimensioni; infatti se l’intuizione della distribuzione spaziale è giusta, anche un segno basta, e il taglio di Fontana rimane un’intuizione insuperabile.

L’armonia, quindi, la cerco con i segni che si appropriano e si fanno spazio, materia, corpo, ombra modulata dalla luce. È tutta una conseguenza. Dai segni nasce la struttura dell’armonia e il colore ci si adagia sopra, generando la magia della pittura.

S.Z. Mi viene in mente, ascoltando le tue parole, un elemento che mi pare interessante nei tuoi lavori: il ritmo. L’aspetto ritmico, questa armonia del movimento delle forme e dei segni, che viene spontaneo collegare alla musica, ma anche alla danza, che tu hai studiato per un periodo con la coreografa Donatella Capraro. C’è qualche aspetto di questa esperienza che ti è rimasto nel tuo modo di vivere la pittura?

P.Z. Respirare l’ambiente della danza è stata una esperienza fondamentale per la mia formazione. Ho vissuto con il mio corpo l’esperienza di sentirmi dentro il disegno coreografico, all’unisono con la musica e lo spazio, in  un attimo di sospensione, un breve momento in cui senti di essere dentro la danza. Nel tempo quegli insegnamenti, per vie alchemiche, me le ritrovo nella pittura. Essere dentro gli attimi non è cosa semplice, però quella sensazione io l’ho provata e cerco di ritrovarla nella pittura.

C’è un momento, mentre dipingi, in cui devi abbandonare tutte le certezze, tutto il bagaglio tecnico: E’il momento della danza in cui ti lasci trasportare dalla sensazione diventando strumento. È un processo che oramai conosco bene ma è il momento più duro del dipingere perché  la fatica e la tensione sono ugualmente presenti. È un momento di verità, come dice il maestro Franco Sarnari, una battaglia, dove non si può mentire e programmare; vai verso l’ignoto e devi essere disposto ad andare, con il rischio che l’incanto sparisca.

Ho imparato dalla danza che esiste un  ritmo celato, assorbito dalle forme e rivelato con lentezza, come nell’ apparente immobilità della pittura. L’occhio che osserva un quadro compie una danza, creata dalla disposizione spaziale degli elementi che lo compongono, una dinamica ritmica che si fa durata.

Con Donatella Capraro  mi lega una grande amicizia e un’intesa professionale molto forte. Negli ultimi anni abbiamo lavorato insieme a più progetti come in “ Flyby” cinque frammenti video, dove Donatella è coautrice e interprete. Questo lavoro inizialmente nasce da un mio desiderio di studiare un corpo immerso in acqua e, Donatella, ha studiato dei movimenti proprio per questo progetto. È stato importante scoprire come le immagini del girato contenevano già un ritmo proprio. Mi sono accostato al video da pittore, e Donatella ha portato la sua esperienza di danzatrice e di coreografa. In sede di montaggio, ho visto nascere immagini che bastavano a se stesse per ritmo e  forma espressiva. Ho lavorato fisicamente sulla pellicola con colori trasparenti e sentivamo il bisogno che le immagini avessero un movimento lento; era il desiderio di non allontanarsi dalla fissità apparente della pittura, infatti abbiamo deciso di chiamare questi frammenti video “quadri mobili”.

 

S.Z. Esprimersi creativamente “ad ampio raggio”, abbracciando anche stimoli artistici diversi dalla pittura, come la musica e la danza, è senza dubbio un elemento che arricchisce la tua ricerca. Ma che dimostra anche fiducia nella risposta dell’osservatore; fiducia nel fatto che si possa determinare una minore passività nella fruizione del prodotto artistico. Quanto è importante per te la possibilità

di un dialogo con chi visita le tue mostre e guarda i tuoi quadri?

 

P.Z. Tutte le esperienze che faccio convergono nella pittura, forse è questo che mi fa essere disinvolto con il pubblico. Anche se realizzo un video o un intervento in uno spazio, lo faccio sempre da pittore. Sento che la pittura può trasmigrare in altri spazi oltre quelli usuali della galleria o del museo, l’importante è suscitare emozioni.  L’estate scorsa ho avuto la possibilità di  esporre all’interno degli spazzi della splendida Villa Romana Del Casale di Piazza Armerina, dove ci sono dei mosaici unici al mondo. Non era cosa facile esporre in un luogo già saturo di bellezza. Ho sentito che un intervento rispettoso, basato su un accostamento di senso, si poteva azzardare. Ho usato la leva dello sguardo che coglie cromie particolari attraverso punti prontamente illuminati, o che si posa su particolari non previsti come quello di un segno cromatico che reagisce sulla superficie musiva. Ho poggiato un quadro azzurro di due metri per due sul pavimento dell’unica stanza senza mosaici della villa, creando così una continuità cromatica con la storia. La villa è molto visitata da un pubblico internazionale e, osservandolo, durante il percorso, ho avvertito la loro emozione nell’osservare questa contaminazione tra storia e contemporaneo e, per la prima volta, mi sono emozionato con loro.

 

S.Z. Immagino sia un’esperienza appagante avvertire l’emozione degli altri dinanzi al proprio lavoro. Ma per te come pittore che cos’è e da cosa nasce l’emozione?

 

P.Z.  “La bellezza mi commuove sempre fortunatamente …“ diceva una canzone della Vanoni. Fare pittura significa anche vedere con occhi nuovi una determinata situazione e mostrarla agli altri. Attraverso la pittura ti si rivela un mondo che prima non vedevi. Osservandolo ti accorgi che sei immerso in una miscela di associazioni e sensazioni continue, di rimandi, di cose vissute e  nuove; un unicum, da cui può partire la scintilla che fa scaturire l’emozione. In questa mostra oltre alle pitture, la sensazione è accompagnata dalla musica e dalla parola come la nota di Shitao letta da Battiato che recita così:

Quando l’uomo si lascia ottundere dalle cose, si lascia catturare dalla polvere. Quando si fa dominare dalle cose, il suo spirito si affatica e si inquina. (…)

Io lascio che le cose seguano l’ottundimento delle cose, che la polvere si faccia catturare dalla polvere; in questo modo lo spirito non si inquina, e se lo spirito non si inquina, può esserci (autentica) pittura. (…)

Ho scelto questo testo di Shitao perché trovo che esprima con meravigliosa sintesi la via del pittore. Un’altra nota che è letta da me e aggiunge senso al percorso della mostra è di San Giovanni della Croce, e recita così:

 

Scopri la tua presenza,

mi uccida la tua vista e tua bellezza,

sai che la sofferenza

di amore non si cura

se non con la presenza e la figura.

 

E’ come notte calma

Molto vicina al sorger dell’aurora

Musica silenziosa,

solitudine sonora,

è cena che ristora e che innamora.

 

Le parole di San Giovanni della Croce parlano di bellezza che si rivela, quindi posso dire che l’emozione per me nasce soprattutto da un incontro, spesso casuale, che l’attenzione può fare germogliare.

S.Z. : Mi pare che soprattutto le parole di Shitao evidenzino un legame imprescindibile tra etica ed estetica: per dipingere bene bisogna coltivare dentro di sé la saggezza; bisogna sapersi staccare dalla «polvere», imparare a vedere in profondità il volto delle cose, fino a raggiungere la scintilla di vita che le anima, il loro cuore, che è poi anche il cuore della pittura. Pensi che una visione così lontana da quella nostra occidentale, basata al contrario sulla distinzione etica/estetica, possa costituire una via di ricerca capace di aprire nuove possibilità e soprattutto nuovi valori, artistici e umani?

P.Z. Quando si lavora con verità si ha già un atteggiamento etico, anche quando la rappresentazione estetica può apparire dissacratoria o aggressiva o contro corrente rispetto al gusto dominante.

La visione di Shitao è ovviamente da prendere come percorso possibile ma sappiamo benissimo che la natura umana è complessa e spesso contraddittoria. Gli artisti sono contraddittori per natura e nel loro modo di essere convivono atteggiamenti contrastanti. Giotto ha creato opere di alta spiritualità ma in realtà nella vita  pare che fosse un usuraio. C’è da chiedersi, chi era l’essere che ha dipinto quelle pitture così spiritualmente elevate? E’ un mistero, ma forse etica ed estetica convivono nell’atto creativo.

Oggi nel mondo dell’arte contemporanea tutto appare più complesso e l’etica e l’estetica sembrano non poter coesistere. Io credo che molta produzione artistica segua più le regole del mercato e della moda piuttosto che un sentire profondo ed elevato, però ci sono anche artisti contemporanei straordinari che con il loro impegno, anche civile, indicano che una strada è possibile.

Mesi fa ho visitato per la prima volta il convento di San Marco a Firenze, dove il Beato Angelico ha dipinto le cellette dei frati, ed è stata una vera folgorazione. A proposito di etica ed estetica quell’uomo ha dipinto dei veri miracoli per i suoi confratelli, per la loro crescita spirituale e umana, e penso a quanto siamo lontani da quel tipo di visione, catturati come siamo dalla polvere.