PIERO ZUCCARO o della euforia cromatica
Una densa concrezione di paste cromatiche, che si sedimentano volumetricamente in icone di astratta plasticità, confezionano nella pittura di Zuccaro singolari paesaggi, in cui figure organiche e filamenti di natura rimandano ad una realtà corposa, sensuale, esaltata e fatta emergere attraverso scabre bave di colore in movimento. Il peso terrestre e l’astrazione mentale, il disegno e lo spessore cromatico denso, la stasi e il dinamismo, si fondono in una verifica aperta delle possibilità di questa tipologia di pratica artistica, che forse richiederebbe un ulteriore labor limae, per scaricare certi eccessi di materia, ma che certo fa galleggiare una visione del mondo, in cui i sogni non sono scorporati e fantasmatico, ma sottesi negli inserti di una realtà drammatica, segnata dai problemi interni ed esterni di un ‘Io’ che non vuole arretrare di fronte ai soffocamenti, alle contaminazioni pestilenziali del mondo contemporaneo.
Zuccaro cerca disperato i pochi frammenti di purezza rimasti che stentano a farsi intravedere tra il fango le sconnessure e gli squilibri di un universo in disfacimento, senza fremiti mistici, in cui la speranza e la sfiducia sembrano per sempre soffocate dalla preponderanza della materialità sul bisogno di meditazione, di conoscenza di ordine. Una consistenza volumetrica ruvida, da espressionismo astratto, consente di incidere plasticamente le sagome delle icone rappresentate con suggerimenti talora impercettibili, talaltra più scoperti, che intrigano la visualità di chi guarda e la costringono a penetrare oltre l’immagine fenomenica, dove si intravede un malinconico impianto, quasi una rabbia, un dolore vangoghiano, per i contenuti umani che sempre più si assottigliano e che fanno risaltare una nostalgia lirica attraverso le scelte più delicate del colore, per il ‘mare’, le ‘gru azzurre, le ‘stanze paesaggio’ , dove è ancora possibile riannodare gli infranti legami con la natura.
Anna Maria Ruta
(In Terre di mezzo, 2001, fondazione Mazzullo,Taormina)