La pittura di Puglisi e Zuccaro
Ovvero delle affinità elettive
Le memorie scolastiche vanno verso le amicizie antiche: Eurialo e Niso, Castore e Polluce. Amicizia e amore fraterno in cui l’abnegazione, l’altruismo sono portati alle estreme conseguenze.
Mi fa pensare a queste amicizie mitologiche quella tra Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro, due artisti che ho visto sempre insieme e che insieme espongono in questa mostra di Palazzo Spadaro a Scicli.
Hanno insieme lo studio, si confrontano quotidianamente e l’uno sa tutto dei quadri dell’altro, ne spiega il significato, ed è più facile capire l’opera dell’uno rivolgendosi all’altro; testimonianza questa di affinità elettive, nonostante la diversità stilistica delle loro opere, il differente linguaggio, le poetiche diversificate.
Si confrontano come se stessero sulle sponde opposte di un fiume, rimanendo uno sul versante dell’astrazione e l’altro su quello della figurazione, sostenendo entrambi di dipingere la verità di quanto sta loro davanti: materico l’uno, sfuggente sulle cose l’altro; Preoccupati entrambi di risolvere, di trovare gli esiti più felici per ogni singolo quadro, negli equilibri delle luci, degli impasti, con la percezione che è ancora dentro le cose dipinte, dentro la materia e lo spazio del porto, della stanza, di una fontana per Zuccaro, dentro la luce e le sagome di una notte, di una persiana, di un abbraccio tra due innamorati per Puglisi.
E forse la loro forza, i loro risultati derivano da questo intenso rapporto, aderenti a quanto li circonda.
Puglisi non dipinge la sostanza di ciò che vede. Il suo occhio è visionario, sognante, un sognare ad occhi aperti; di ciò che vede astrae armonie, agendo per sottrazione. …Zuccaro, che gli fa da specchio, gli ricorda che l’arte è anzitutto pittura, è il territorio della materia.
La pittura di Zuccaro ha ben altri registri. Non c’è nessuna distanza con quanto rappresenta. È pittura di sostanza, riflesso e acqua insieme, materia fluida che continuamente si amalgama, continuamente si trasforma con un’animazione interna incessante.
Non c’è stasi nelle sue opere, ma mobilità, perseguendo un obiettivo che è l’opposto di quello di Puglisi: rendere la sostanza della realtà. Non sagome, quindi, ma materie spesse, dense, animate dalla luce fisica che si incanala in sentieri plurimi.
Si consideri il ciclo dedicato alle colombe. Zuccaro le ha viste sul pavè di una piazzetta catanese, mentre stanno per prendere il volo. Di quella realtà ha dipinto il movimento delle ali. La loro relazione cromatica e materica con i cubetti di porfido, non separando, ma amalgamando tutti gli elementi. Il suo è un tradurre un fondere il dato percettivo col dato emozionale. Non è soltanto la luce che viene dipinta ma la massa in movimento. La sua attenzione per il porto è comprensibile: le acque in rapporto ai pontili, alle navi, alle gru sono massa fluida ora trasparente ora limacciosa, sono profonde e continuamente cangianti. Un modo di affrontare la realtà partendo da presupposti realisti che, però si orientano sul versante espressionista e informale, mantenendosi sul crinale tra la riconoscibilità visiva e l’abbandonarsi alla bellezza della massa pittorica.
Paolo Nifosì
(In Puglisi e Zuccaro, “Oli su tela”, 1998, palazzo Spadaro, Scicli)