<<… già filtra nel nostro dormiveglia
quel sottile svisamento
tra acqua e terra, luce e acqua
mischiate e in discordanza
e con esso il senso dilagante
di non divisi elementi
oppure ricongiunti…>>
<<Perché questo ricordo? Perché questo lampo?
Intorno la città, l’acqua, i suoi brividi,
una sola immagine moltiplicata in miriadi.>>
Mario Luzi
È prassi collaudata che, nell’occuparsi di un giovane artista, sia opportuno presentare anzitutto il biglietto da visita delle ascendenze. Nel caso di Pietro Zuccaro, i nomi fatti in passato sono di tutto riguardo – Forgioli, Morlotti, John Asger, Hundertwasser, Rothko, e certo non va dimenticato il nume tutelare che è Monet… S’intende, un discorso critico non può prescindere dai referenti pittorici, consci o meno, ma nell’appiattirsi in un’ermeneutica basata su ovvi riscontri – cui magari vanno ad aggiungersi dosi più o meno abbondanti di considerazioni di storia sociale, vicende biografiche, nonché le sperimentate oscillazioni del gusto – il rischio è di chiarire ben poco quella che resta l’essenza di ogni analisi, il talento personale dell’artista.
La superficie dinamica, il colore, il movimento, la natura, il riflesso: sull’acqua o sul vetro. Questi elementi distintivi, individuabili sin dagli inizi nella ricerca di piero Zuccaro, sviluppata con una coerenza intransigente che contraddice il mite modo di porgersi dell’artista. E del resto, la chiave caratteriale si può leggere sin dalla carta d’identità – al dolce Zuccaro segue il duro Pietro. Pugno di ferro in guanto di velluto. Nomen omen.
Via via che procede nel suo lavoro, il pittore precisa meglio i temi, utilizzando anche, come punto di partenza, il supporto tecnico della fotografia e ampliando al contempo la propria cultura, che non è limitata alle arti visuali. Così, dalle suggestioni dei giardini d’un polveroso verde malachite, si passa al vivissimo impatto emotivo di una liquida superficie portuale, autentico horror vacui la cui mesmerizzante tenebra evoca la morte dell’acqua che è anche una “morte per acqua”, in agguato nello spurgo d’un detersivo dal luttuoso candore. Va notato che, qui come altrove, la materia corposa, trattata a spatola, svaria dallo stiacciato per spingersi quasi al bassorilievo, talchè è legittimo supporre che prima o poi l’artista non si negherà la naturale esperienza della scultura. Svolta risolutiva, un quadro del 2000, una Marina come affiorata da una trance indotta e subito rappresa nella più desolante cupezza minerale.Già dieci anni prima, Franco Sarnari, nell’occuparsi di Zuccaro, aveva adoperato il termine “mistica”, tralasciando tuttavia di approfondire le implicazioni della sua intuizione. Misticismo. Basta scorrere il repertorio relativo alle tecniche dell’estasi sciamanica e si noterà come siano fondamentali gli stessi elementi al centro dell’arte di Zuccaro: l’albero,quale simbolo dell’universo in continuo processo di rigenerazione; l’ascesa; l’acqua rappresentata da uno spirito; lo specchio, in quanto superficie riflettente che aiuta a vedere il mondo; i volatili; la trasformazione o metamorfosi; un dinamico equilibrio tra le opposte spinte centrifuga e centripeta (maschile / femminile). Ancora,sempre sulla stessa linea della Marina, che potrebbe definirsi gnostica, ma con una sorprendente riscoperta del colore: certe architetture di cattedrali, effuse nella nebula d’una luce sfarinata, all’atropina, che accentua lo slancio verticale con l’anelito verso l’espandersi del sovrastante azzurro. L’ascesa equivale all’ascesi.
Una simile visione esige spazi dilatati; da qui (anche) la scelta di grandi quadri, indispensabili per cogliere pienamente un universo personale nell’istante in cui deflagra, abbacinante e scialitico. L’atto creativo, lo ricorda Mircea Eliade, mira a trasmutare il linguaggio tramite <<un’esperienza interiore che, in ciò simile all’estasi o all’ispirazione religiosa dei “primitivi”, rivela il fondo stesso delle cose.>> Dunque, prima la materia, poi il lampo, infine la realtà rinnovata. Sulla via del Big Bang estatico, Pietro Zuccaro è pronto ad ulteriori conseguimenti.
Gabriele Musumarra (In Il Gruppo Di Scicli, 2001, Palazzo Sarcinelli, Conegliano)