Piero Zuccaro
Orme d’acqua
“Ognuno interpreta un quadro alla propria maniera. Vale a dire che l’opera d’arte parla al singolo attraverso la sua presenza, una relazione intima che non è né astratta né simbolica. La lingua è il sistema simbolico più appropriato di cui l’essere umano dispone per entrare in contatto con gli altri. Ma proprio la comprensione univoca limita la molteplicità dell’espressione artistica, che è per esempio mantenuta nella musica. “ Asger Jorn, Weder Abstraktion noch Symbol, 1962.
La pittura di Piero Zuccaro è sospesa tra rappresentazione e astrazione. Le sue offensive cromatiche alla tela si intrecciano e raggrumano in una superficie incrostata, su cui si percepiscono, più che realmente vedersi, le sagome tracciate alla guisa di cicatrici impresse o tatuaggi profondi. Questi frammenti segnici sembrano affiorare dalla materia cromatica, e ad un tempo inabissarvisi. La straordinaria plasticità della stesura del colore conferisce ai dipinti ad olio una superficie che per intensità di tonalità ricorda un campo di lavanda dall’artista trasfigurato in una morbida estensione di cera. In essa sono occultate le tracce del lavoro pittorico che fa del supporto di tela un sostrato plasmabile in cui i pochi elementi figurativi tracciati si conficcano, si condensano, si rapprendono. Questa pittura in cui materia e immagine sono strettamente intrecciati l’una all’altra non si può comprendere realmente se non si tenta di scindere il piano formale da quello semantico. Per ragioni metodologiche è pertanto opportuno dare una descrizione di quanto viene qui presentato in termini unitari; e cioè, analizzare in primo luogo il carattere materiale della sua natura e dedicarsi solo in un secondo momento ai contenuti che tale pittura viene così ad esprimere.
Le tele di Piero Zuccaro non conoscono superfici distese, lisce nel senso di una stesura del colore velata e trasparente. Ogni loro centimetro quadrato appare scomposto e percorso da svariate pennellate e molteplici colpi di spatola. Mai una pennellata netta che con slancio continuo attraversi l’intera tavola come espressione di un gesto univoco. Troviamo piuttosto pennellature slegate o stesure energiche effettuate a colpi di spatola, quando non è addirittura l’intera superficie del quadro a venire interamente ricoperta da una debordante decorazione musiva, come nel caso della tela intitolata “Orme d’acqua” (2008). In un altro dipinto del 2007, “Sospensione”, cumuli pastosi di colore si ergono sulla superficie, quasi a formare protuberanze simili ad ali percepibili una volta come onde spumeggianti sull’acqua, talaltra come corpuscoli svolazzanti all’orizzonte. Ognuno di questi colpi non è da intendersi quale espressione di un gesto vigoroso contro la propria pittura, bensì come contributo semantico al quadro. Ogni colore ed ogni superficie vengono realizzati con un tratto distinto, così che nessun punto della tela presenta mai sembiante uniforme. Anzi, è dal mosso sostrato pittorico approntato da Zuccaro che si profilano le forme, tracciate non tanto definendo bordi e contorni quanto piuttosto attraverso l’impeto che accompagna la stesura materiale del colore, il quale trova da se stesso i propri limiti di demarcazione. Emerge al contempo un segno che si esprime in linee vorticose e tormentate, in opposizione al quale un ritmo dall’andamento più rassicurante e distensivo non cessa di tentare di livellare la superficie dipinta per ricondurla all’omogeneità. Una omogeneità che ha le proprie radici nella molteplicità di forme uniche e particelle cromatiche a se stanti. In tal modo questa pittura finisce per assomigliare ad un campo arato e costituisce un humus pronto a produrre potenzialmente qualunque frutto. Ma poiché in questo gruppo di opere il pittore si concentra sul blu e sulle tonalità scure, l’associazione che qui prevale è quella con l’acqua e con la sua profondità.
Dalla variazione della superficie pittorica ritmicamente scandita si sviluppa una vitalità che assorbe nel proprio disegno l’uniformità. Accomuna le tele un tratto vorticoso, tormentato e palpitante, un ritmo reiterato, per quanto ad un più attento esame si noti come particelle cromatiche contigue attingano la propria vitalità proprio dall’avvicendarsi energico di colpi di spatola e di pennello. In ogni caso a predominare è il ritmo della stesura del colore, piuttosto che il contrasto cromatico o la bordatura delle singole forme, le une dalle altre distinte. Nonostante lo slancio del tocco e l’utilizzo massiccio di materiale la superficie della tela si mantiene tuttavia piana, come nel caso della citata opera “ Orme d’acqua” del 2008, in cui essa si espande come fosse una vetrata colorata, che luminosa e trasparente ambisce a irradiare i suoi raggi variopinti nello spazio. Le singole superfici colorate si compongono dei diversi colori in un primo momento non miscelati, stesi e poi amalgamati direttamente sulla tela. Con questo procedimento i colori di partenza restano riconoscibili, vale a dire che ha luogo solo una mescolanza di colori “aperta”, la quale si realizza attraverso la stratificazione di strati di colore separati.
All’osservatore che si avvicina al quadro e scruta la “dirompente” struttura delle singole componenti cromatiche si offre una molteplicità caleidoscopica di colori. Questo amalgama di colori, a volte latente, altre più pregnante, è determinato dal fatto che Zuccaro dipinge sul bagnato, ossia che per tutta la durata del processo creativo il colore rimane allo stato fluido. All’osservatore questa dinamica si rivela però una volta che esso è asciutto, quando le macchie di colore si sono ormai rapprese e le tracce dell’impastatura sono solidificate. E tuttavia non si può non notare che i quadri di Zuccaro hanno origine da una successione di forme che si sono avvicendate. Egli infatti non procede strato per strato, passando per la sovrapposizione e la sedimentazione, ma segue piuttosto il principio del “drippings” introdotto da Jackson Pollock, quello basato sul tracciato di colori fluidi, per quanto si tratti pur sempre di una modalità di stesura controllata dall’artista attraverso pennelli e spatole.
Questo permanente processo di addensamento e sovrapposizione di colori che si rapprendono in grumi dà luogo ad una profondità in grado di suggerire spazialità, senza che per conferire forma allo spazio sia necessario fare ricorso alla prospettiva. Grazie alla malleabilità del materiale steso con colpi decisi sulla tela le figure che prendono forma assumono inequivocabile plasticità. Diventano concrete. Le linee infondono così un ordine, conferiscono ai quadri una struttura solida, una configurazione compatta e assumono una consistenza tale da somigliare quasi a ceramiche luccicanti o a vetro dipinto. Le forme sulla tela sono talmente plastiche da sembrare corpi reali, per quanto però non sia poi possibile associarli ad oggetti effettivamente esistenti. Le forme permangono infatti decisamente generiche, assimilabili a superfici d’acqua o anche, in altri casi, a nuvole. Per essere davvero nuvole risultano in realtà eccessivamente compatte; per essere acqua sono troppo dure. Ma le loro caratteristiche cromatiche richiamano alla mente riflessi dalle tonalità autunnali sulla superficie dell’acqua. A partire dalle osservazioni di Leonardo condotte sull’acqua in movimento, i gorghi acquatici sono divenuti in pittura il campo di rappresentazione dotato del più ampio spettro di potenzialità. Poiché sia l’acqua che le nuvole possono attraverso il riverbero dei raggi del sole e i riflessi assumere praticamente qualsivoglia forma e qualsiasi tonalità cromatica, entrambe – acqua e nuvole – schiudono al pittore il più ampio ventaglio di possibilità di rappresentazione esistente. Esse creano un ordine e un luogo della rappresentazione senza al contempo imporre una forma precisa. È dunque il colore che nello sviluppo di questo tema dispone delle potenzialità di rappresentazione più incisive.
Osservando queste tele avvertiamo lo svolgersi di una narrazione inafferrabile, per la quale non riusciamo a ipotizzare nessuna conclusione. Non potendole dunque associare idee univoche le resta intrinseco qualcosa di misterioso. Sensazioni soggettive e osservazioni personali sembrano confluire nel ritmo e nel vortice della realizzazione pittorica per congiungersi infine in una superficie cromatica ordinata. Poiché non viene narrata una storia in particolare e non ci si rifà a nessun topos determinato, bensì si asseconda l’automatismo psichico, le rappresentazioni si muovono in una condizione che è come sospesa, nella quale grazie ad una sorta di metamorfosi l’osservatore può attingere figure soggettivamente percepite. E tuttavia questi accenni ad una figuratività immanente nella tela sono al contempo associati ad una indeterminatezza tale da potere lasciare che essi si riducano nuovamente a mera materia cromatica. I pochi elementi segnici sulla tela si muovono quindi come frammenti su un sostrato pittorico; non appaiono come il traguardo di questa pittura, bensì in certo qual modo come uno sviluppo che dal processo pittorico trae origine. Poiché nelle sue opere Zuccaro non ambisce alla rappresentazione mimetica di un determinato oggetto reale, le figure che in esse prendono forma sono aperte, emozionali. Per via della loro collocazione sulla tela, le pennellate di Zuccaro danno improvvisamente vita a costellazioni nelle quali – indotti dal nostro cervello, che sollecitato da questi stimoli cromatici non cessa di ingannarci – desideriamo leggere e riconoscere l’elemento figurativo. Uno sguardo che indugi lungamente su queste opere non potrà fare a meno di constatare sorpreso la precisione con cui in singole immagini trovano espressione atmosfere e fantasie sensoriali.
Helmut Friedel
(In “Piero Zuccaro Opere 2006-2008”, Scuderie Aldobrandini, Frascati).
[Traduzione di Enza B. Licciardi]