Mediterranei
La pittura di Piero Zuccaro trasforma il colore e l’olio in elementi della narrazione, in protagonisti, e non più solo medium, della composizione. Se nelle fontane dell’artista le pennellate grasse, piene e grumose si fanno acqua, scorrono come getti e zampilli, bagnano tutto quanto riescono a contattare, nei cicli dedicati ai fiori i tratti piatti e tirati diventano effettivamente come petali, finiscono per vantare la stessa consistenza e morbidezza della corolla di un girasole. Nei pezzi sulle architetture d’interno il segno diventa mattone, base da mobilia, capace di reggere da solo il peso della costruzione e dell’allestimento, mentre nei rari corpi dipinti il gesto artistico e la materia finiscono per presentarsi come pelle levigata e vellutata, come cute morbida e invitante del seno e di un paio di lunghe dolci gambe. Eppure, manca sempre la descrizione, la pittura domina sempre e comunque sul racconto, sulla precisazione. La grande forza di Zuccaro è il saper fondere in un tutt’uno il mezzo e il fine, il tramite e l’obiettivo, il racconto e la morale, in modo da vincere finalmente la secolare contrapposizione tra tecnica e idea, tra materia e soggetto. Nel suo caso, i due estremi diventano la medesima cosa: l’artista non dipinge l’acqua ma la ricrea, ne costruisce l’improbabile alternativa, impegnata a fluttuare sulla tela; non disegna l’architettura ma architetta disegni, edifica elementi concreti e pesanti sulla tela. Per quanto fissa, per quanto finita, l’opera di Zuccaro non si ferma mai, non può smettere di vibrare, non può dar segni di cedimento e di rilassatezza: su quelle tele non c’è un racconto ma un altro mondo, parallelo al nostro, con gli stessi elementi del nostro ma profondamente diverso. Un mondo dove la pittura è acqua e terra, carne e cielo. Dove la vita narrata non ha davvero nulla da invidiare a quella vera.
Maurizio Sciaccaluga
(In Mediterranei, 2004, Salarchi Immagini)