Dal caos del colore alla forma del paesaggio
In un testo ormai classico, Arte e illusione, Ernest Gombrich dimostra che il procedere degli artisti non deriva da un loro diretto rapporto con la natura, non deriva dalla diretta imitazione della realtà, ma dal rapporto con la tradizione stilistica, con il fare degli artisti precedenti, con lo stile del tempo.
Penso che questa tesi sia ancora valida guardando le opere di Piero Zuccaro che ha introiettato la cultura informale degli ultimi decenni del nostro secolo. Si può ravvisare un riferimento diretto a Ennio Morlotti e Attilio Forgioli per le sue prime esperienze, ma è sintomatico proprio il fatto che Zuccaro dipinge il paesaggio e la realtà solo mediante il percorso parallelo della pittura materica, un percorso in cui il colore, libero da convenzioni disegnative, viene usato ad ampie stesure dense, con immediatezza.
Il primo strappo in merito alla mimesi l’avevano fatto gli impressionisti.Siamo ancora oggi sul quel sentiero, non per registrare l’impressione immediata, ma per astrarre da quelle sensazioni armonie e succhi che liberano nel colore straordinarie potenzialità, per l’invenzione di conformazioni materiche allusive al percorso che dall’occhio passa attraverso strade non del tutto conosciute della emozionalità e del vitalismo. Parlando con Zuccaro del suo lavoro è sorprendente con quanta convinzione mi racconta dei suoi giardini dipinti, del porto tante volte osservato, della nave, o meglio delle navi esplorate in lungo e in largo, viste dal basso come dall’alto, dei riflessi che una nave determina sull’acqua del porto, delle infinite possibilità, delle impalpabili variazione di luce dell’acqua, delle gru che come giganti si allineano lungo le banchine. Sulle sue tele tutto ciò si trasforma in impasti sapienti, e se il tema è un giardino ecco che il brulichio è di materie verdi con azzurri e bianchi; se c’è una casa tra la vegetazione il verde si impasta col rosa. Singolare è la veduta del porto, visto dall’alto a volo d’uccello, con un’ottica ribaltata e quindi piatta sulla tela. Il senso del movimento, della vibrazione del Magma trova ancora più ragione nei riflessi dell’acqua e forse non è un fatto secondario per il lavoro di Zuccaro l’essere a contatto con l’esperienza visiva della lava dell’Etna, proprio per la quantità di colore che si trova nelle sue opere, soprattutto per la libertà invasiva con cui il magma riformula il paesaggio, trasforma tutto quanto aggredisce e ricompone. L’Etna, ogni volta che manda fuori lava, rimodella il paesaggio gibboso, inventa nuove valli e nuove colline. Zuccaro inventa navi e pontili, gru e masse d’acqua con una felicità creativa non comune. Paradossalmente la sua pittura è percettiva e realista. Si considerano Riflesso nel Mediterraneo e Le acque del porto: l’acqua stagna, inquinata dai liquami che le navi scaricano in mare, è come se fosse stata prelevata e montata nel rettangolo della tela. Non è un’operazione di imitazione, ma di rifacimento con materie dense, spesse, agitate dai pesanti movimenti delle imbarcazioni, impegnando anche la luce fisica con i meandri fluidi o spezzati del magma. Non c’è dubbio che il primo impatto visivo dichiara l’astrazione materica di queste opere. Ma ciò dipende molto dalle nostre abitudini percettive. I nostri occhi sono stati sempre meno attenti a scrutare la realtà rispetto a quelli degli artisti. Il loro ruolo è stato sempre quello di dilatare le nostre possibilità di vedere meglio la realtà. Non appena si passa da una osservazione distratta ad una più attenta ci si ritrova non solo a vedere l’acqua, ma a provare reazioni emotive, attrazione e disagio per quella densità. Percezione e immaginazione si saldano nelle tele che hanno per tema le colombe. Tutto parte da emozioni, dall’osservazione delle colombe viste ai piedi del monumento: il loro arrivo in volo, il beccare qualcosa da mangiare, il loro nervoso camminare per scatti, il volo. Tutto è movimento, intrecciarsi di ali, di penne su un pavimento di cubetti di porfido, in un insieme di rosso vinaccia e di grigi in cui si percepiscono appena le sagome, forme che continuamente cambiano. La pittura ha la possibilità di ricreare la sintesi del moto. Aveva iniziato Degas; ma quante riflessioni da allora sono state fatte sul movimento in pittura e in fotografia. Solo che la pittura può incorporare nella percezione anche elementi emotivi: si può dipingere il brio, la leggerezza degli uccelli, si può cogliere l’ansia della loro ingenua fragilità, di un’esistenza minacciata e spesso conclusa prima del tempo. La pittura di Zuccaro genera questo miracolo di una materia che coniuga il sentimento e lo sguardo.
Paolo Nifosì (In Piero Zuccaro, 1997, galleria Andrea Cefaly, Catania)